Off topic

Che in inglese, nel gergo ormai in uso nel contesto social del Web2.0, sta a significare un “contributo a una discussione internet non inerente all’argomento generale della discussione“, nel caso specifico non inerente alla street photography, ma inerente sicuramente alla materia ben più ampia della fotografia.

Approfittando dei tanti eventi in città previsti nel ricco programma del mese della fotografia di Roma, di cui ho già avuto modo di parlare in un precedente articolo del blog, ho partecipato ad una sessione introduttiva, ma molto esplicativa, sulle funzioni e l’utilizzo del banco ottico, che per capirci è una cosa del genere

Direte, cosa c’entra questo con la street? Nulla infatti, diciamo che il banco ottico sta alla street come la nutella sta alla pasta alla carbonara, ossia non ci azzecca nulla.

La filosofia del banco ottico è infatti quella della “slow photography”, avversa appunto alla “fast photography” che calza molto più al genere street. Il banco ottico impone al fotografo un’attenta preparazione, lentezza nei tempi, accuratezza, pre-visualizzazione della foto (cosa che, in velocità, fa la differenza anche nelle foto di street più riuscite), richiede un soggetto immobile, o quasi. Il banco è quindi impiegato più che altro nei generi paesaggistici, architettonici, still life e ritrattistici. Quel che c’è di bello è che è una fotografia che torna alle origini (i banchi ottici sono state le prime fotocamere realizzate e utilizzate, derivate dalla camera oscura che usavano i pittori), che richiede un’approfondita padronanza tecnica dei fondamenti della fotografia, non ci si può improvvisare! Ovviamente è una fotografia analogica, di medio-grande formato e, ai giorni nostri, meno costosa di quanto fosse un tempo; è una tecnica che permette vari equilibrismi fotografici, in termine di messa a fuoco selettiva, gestione della prospettiva, della profondità di campo, del soggetto inquadrato, che nessun’altra tecnica fotografica consente. Ad esempio, giusto per citare il ritratto, ecco cosa fa un noto ritrattista con un “close up” sui volti di alcune celebrità, Martin Schoeller.

Io penso che un fotografo, anche se un semplice appassionato, debba sperimentare vari generi e mettersi alla prova con tutto, o quasi tutto il possibile. Quindi il banco ottico è un’occasione per crescere fotograficamente, per sperimentare, cosa che cercherò di fare partecipando ad altri corsi di approfondimento. Ovviamente non ci farò foto street, ma appunto questo era un “off topic“, che si chiude qui.

Buona luce!

Vintage (once upon a time)

Cerca che ti ricerca alla fine l’ho trovata, cercavo un modello compatto di fotocamera, a obiettivo fisso e telemetro, come andavano tanto di moda negli anni ’70, ovviamente a pellicola. Non è facile trovare il modello giusto, dopo averne passati in rassegna tanti; le possibilità sono sul web, nelle vendite tra privati, o nei negozi di fotografia che trattano l’usato “vintage”, oppure, se ti dice bene, in qualche mercatino di strada di cose d’epoca.

I modelli sono diversi, molti sono entrati nella storia della fotografia e alcuni sono egregiamente sopravvissuti ai giorni nostri, nei decenni. Eh sì, ai tempi non avevano ancora inventato l’obsolescenza programmata, aberrante algoritmo consumistico in grado di far invecchiare velocemente e precocemente tutti i nostri prodotti tecnologici, dal frigo, alla TV, allo smartphone, alla macchina fotografica. I prodotti di una volta, fatti in metallo, poca plastica e quasi nulla elettronica, duravano nei decenni, erano robusti, solidi e ben costruiti, oltre ad avere un bel design.

Dicevo, non è facile trovare il pezzo giusto, vuoi perché negli acquisti a distanza tra privati ti devi alla fine fidare (e spesso si prendono fregature), vuoi perché per i pezzi migliori i prezzi non sono proprio economici, essendo un mercato per collezionisti. Alla fine ho trovato la macchina giusta, comprandola su internet da un privato, una fotocamera Ricoh 500G a telemetro, prodotta dalla Ricoh in Giappone agli inizio del 1972. La piccola telemetro è ben costruita, il corpo è interamente in metallo, monta un ottica fissa Rikenon da 40mm F 2,8 con un peso totale di 420g.

La Ricoh 500G rappresenta uno dei modelli più completi e di maggior successo dell’ intera produzione Ricoh e forse è ancora oggi uno dei modelli più apprezzati tra le telemetro degli anni ‘70.
Punto forte della piccola telemetro è infatti la possibilità di funzionare sia in modalità completamente manuale sia in modalità semi-automatica a priorità di tempi. In quest’ultimo caso l’utente imposta il tempo di scatto desiderato e la fotocamera adotta in automatico l’apertura diaframma ritenuta più opportuna in base alla lettura fornita dall’esposimetro.

Perché l’ho presa? Sostanzialmente per due motivi: Il primo è per una voglia di “ritorno al passato”, che poi tanto passato non è, soprattutto in campo fotografico dove la pellicola, alla fine, non è mai morta, anche se il digitale ha avuto il sopravvento e l’ha relegata all’utilizzo da parte di amatori, professionisti di nicchia ma, nei tempi più recenti, una voglia di “vintage” ha fatto tornare di moda la pellicola e anche il genere lomography, che coniuga il digitale, l’analogico e la fotografia istantanea con l’estetica vintage dei modelli di fotocamere. Il secondo motivo è perché questo genere di fotocamere compatte, discrete, piccole e veloci, sono adattissime per la street photography, argomento che tratto in questo blog.

Che dire di più, per ora la uso e mi diverto, prossimamente pubblicherò foto scattate con lei su questo sito, un domani potrei anche decidere di dedicarmi allo sviluppo (quanto meno della pellicola), oltre che alla digitalizzazione dei negativi e della successiva post-produzione digitale.

Per il momento, tornare a comprare un rullino da 36 foto (rigorosamente B&W), caricarlo in macchina, ruotare la leva di avanzamento, regolare la messa a fuoco con il telemetro nel mirino separato, impostare in manuale (o in priorità) tempi e diaframmi e la corretta esposizione, fare alla fine “click” sul pulsante meccanico per far aprire l’otturatore, sempre meccanico a lamelle, con il risultato (magico) di impressionare con la luce che entra dall’obiettivo fisso la sottile pellicola chimica (e non il sensore elettronico), beh, diciamo che è una bella soddisfazione. Basterebbe solo questa sequenza di gesti per farti sentire meglio e per tornare, in quella brevissima frazione di secondo che misura uno scatto, indietro nel tempo, a quando eri ragazzo, a quando ti entusiasmavi ancora con poco, con curiosità, fascino e passione. Anche se per un breve istante, ne vale la pena.

Buona luce!